Questo complesso sistema
di pompaggio ha già costituito oggetto di un altro post ("un particolare tipo di pompa") e ora
torniamo ad esaminarlo sotto il profilo tecnico, laddove l'uomo
interviene in caso di malfunzionamenti derivanti da patologie più o
meno gravi.
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Immagine di un pacemaker |
Attualmente questi
dispositivi sono alimentati con batterie di durata limitata, infatti, il
paziente, dopo circa 10-15 anni dall'impianto, prima che la batteria
si scarichi completamente, è costretto a sottoporsi a un nuovo
intervento che, seppur meno invasivo di quello necessario per
l'installazione del dispositivo, non è mai privo di rischi.
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Immagine di una sinapsi tra due neuroni |
Si renderebbe necessaria una tecnologia avanzata che richiedesse il dispendio di una minore quantità di energia rispetto a quella attuale, oltre all'impiego di migliori materiali conduttori. Essenziale sarebbe inoltre la capacità del sistema di accumulare una quantità di energia sufficiente a garantire il funzionamento del dispositivo senza interruzioni.
Sarebbe poi ottimale, alla luce della attuale possibilità di controllo da remoto dei dati monitorizzati sul dispositivo, la possibilità di generare allarmi, inviati direttamente dal pacemaker al sistema informatico di gestione dello stesso, installato presso il reparto di cardiologia che ha in carico l'assistenza del paziente. In questo modo il portatore potrebbe essere soccorso in caso di gravi aritmie, protrattesi per un apprezzabile lasso di tempo, senza alcuna iniziativa di richiesta di aiuto da parte del soggetto impiantato.
Completerebbe il pacchetto la possibilità di installare un micro gps all'interno del dispositivo, che si attiverebbe soltanto dopo un certo numero di battiti cardiaci anormali e potenzialmente pericolosi per la vita del portatore, consentendo la localizzazione esatta di quest'ultimo e conseguente tempestivo soccorso.
A presto.
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